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Mostra: “Pensieri della ricerca”

Pensieri della ricerca

 

Mostra collettiva di

Nevio Mengacci, Bruno Mangiaterra, Bruno Marcucci e Rocco Natale

A cura di Bruno Ceci

2 aprile 2022 – 10 maggio 2022

Galleria d’arte Albani, via Mazzini n 7 – Urbino

Negli stupendi spazi della Galleria Albani, che hanno già ospitato le antologiche di Arnaldo Pomodoro, Valter Valentini, Abe Steiner ed Omar Galliani, s’inaugura sabato 2 aprile alle ore 18 il progetto espositivo dal titolo Pensieri della ricerca.

Promosso dall’associazione culturale Vivere per l’arteed a cura di Bruno Ceci presenta i dipinti, le sculture e le installazioni degli artisti Nevio Mengacci, Bruno Mangiaterra, Bruno Marcucci e Rocco Natale.

La particolarità e la credibilità di questo progetto espositivo si misura interamente nel teso legame che viene intessuto con l’essenziale, vale a dire accedere alla verità nel profondo rapporto con se stessi, là dove l’essere nasce dal non avere.

In questo orizzonte mentale fatto di poche e fondamentali cose e molto spirito gli artisti possono fare proprie le parole di Novalis quando scrive che “più una cosa è poetica più è vera”.

Verità per essi è, per dirla con la voce poetante di Bonnefoy, “colorare d’una luce la ferita del mondo”, confidare nella “speranza del linguaggio”, credere che un pensiero della ricerca sia ancora possibile, dare vita a qualcosa di essenziale, non nel senso di qualcosa finalmente acquisito, ma di qualcosa che cerca uno sguardo, aspira a comunicare, ma il cui centro si sposta sempre in avanti.

Dare vita ad un senso figurato che prima non esisteva, dipingere e scolpire quello che non è stato ancora dipinto o scolpito, significa per questi artisti avvicinare quel centro come esso non era stato mai avvicinato.

Il progetto presenta ricerche singolarissime, poiché ogni vera esperienza artistica non può che essere unica, eppure sembrano scaturire da una medesima radice.

E’ per tale ragione che le corrispondenze che si accendono fra le opere non sono il risultato della casualità, ma rispecchiano il credo ed il sentire di personalità idealmente e concretamente prossime ed affini, che altresì hanno saputo fare proprio e coltivare lo spazio dell’amicizia.

Nelle opere di Nevio Mengacci tanto nei dipinti quanto nelle installazioni si avverte come l’essenza del ritmo formale sia nell’articolazione partecipata dei gesti non meno che nella meditata energia che li equilibra e li misura. La radicalità delle sue lontane proposte ha trovato ulteriori e significative conferme nelle prove recenti, avvalorate dall’utilizzo di materiali improbabili, vedi ad esempio le compressioni del talco su un sottofondo di gomma, che generano screziature non riconducibili ad un diretto controllo, ma è proprio questo inedito impiego della materia a rivelarsi fonte di vivido stupore.

“La conoscenza più che una dimora stabile è una strada” scrive Pindaro, riflessione che si attaglia appieno alla vicenda artistica di Bruno Mangiaterra, da sempre coerentemente proteso a “ritrovare il proprio oriente”. Scendere nella profondità di se stesso è la strada che gli consente di aggirare le situazioni paludose e labirintiche dell’esistere, che minano pericolosamente l’umanità dell’uomo. L’artista dà prova di abitare poeticamente la marginalità con una peculiarità inconfondibile, che si concreta nel definire volta per volta il problematico rapporto con il linguaggio, con i diversi materiali, con le forme, con i colori, senza crearsi preconcette chiusure, anzi la sua obliqua intenzionalità dà vita a sostanziali aperture tutt’altro che marginali.

Per Bruno Marcucci vivere la dimensione artistica in maniera autentica equivale a connotarla come caratterizzante progetto esistenziale, ove pensare e sentire si dispongono ad accompagnare ogni lavoro nei suoi profondamenti, dando figura ad ignote dimensioni dell’essere o ad oscure estremità cosmiche. Le pulsioni che vengono dal profondo incalzano l’artista dappresso e lo impegnano nella ricerca di soluzioni inedite tanto a livello tecnico quanto in ambito formale.

Nel primo caso vedi il ricorso a materiali non canonici e di recente conio come il silicone, il cui impiego si rivela appropriato per creare da un lato effetti di trasparenza, dall’altro per adombrare una diversa compattezza della superficie, come pure l’interscambiabilità fra restituzione pittorica, scultorea ed installativa delle medesime problematiche. In ambito formale emerge con forza l’urgenza a reinventare le diverse modalità espressive, facendo in modo che aspettativa e soddisfacimento trovino un momentaneo punto d’incontro.

Se la diminuita capacità di autoindividuazione ci consegna disarmati alla normalità ed alla piatta letteralità della vita comune, le sculture e le ceramiche di Rocco Natale sono in grado di operare quella vitale metamorfosi grazie alla quale, là dove si affollavano soltanto punti irrisolti, qualcosa di essenziale accade, qualcosa che si pone all’attenzione, smuove allo stupore, chiama al cambiamento, invitandoci a dare un impensato senso ed un diverso valore alle situazioni ed ai luoghi della nostra vita. Questa tensione verso l’oltre si colora con le sottili trame e di remoti echi di gesti ed emozioni antiche, filtrati attraverso le stratificazioni di un “tempo ritrovato”, come direbbe Proust, ed allora lo spazio scultoreo si fa più intimo ed umano, permettendoci di abitarlo, di viverlo dentro.

 

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